A tempo di jazz, blues e... house music: Chicago!
Nella contea di Cook, in Illinois, affacciata sulle rive del lago Michigan, sorge Chicago; i suoi numerosi grattacieli - tra cui la Wills Tower, che svetta senza eguali nella intera America - ne delineano il profilo e i suoi diversi primati confermano la meritata fama di eccellenza in ambito industriale: la metropoli, infatti, è stata la prima ad introdurre il sistema produttivo a catena di montaggio e ha dato i natali al mercato dei future... Ancora, Chicago si caratterizza per la ottima qualità dei suoi beni e servizi, per la sua variopinta multietnicità e, particolarmente, per la sua anima musicale: pensiamo, ad esempio, a quel tempio della classica e dell'opera che va sotto il nome di 'Lyric Opera of Chicago', alla antica - esiste, infatti, dal 1891 - ed ormai istituzionale 'Chicago Symphony Orchestra', al 'Chicago House Music Festival', che riscuote sempre maggiori consensi...
Protagonista assoluta, inoltre, negli anni Sessanta, nell'ambito delle correnti culturali di avanguardia nero-americane, di cui la 'Art Ensemble of Chicago' rappresenta una straordinaria espressione, la città ha avuto ed ha, tuttora, un ruolo chiave nella storia della musica: in primis, nella biografia di quel malinconico figlio del Mississippi che è il blues. Negli anni Venti, infatti, la cosiddetta 'Second City' si popola grazie ad un nutrito stuolo di chitarristi, armonicisti e pianisti, e si scalda durante i 'rent party', a base di note e socializzazione disinvolta.
Forse figlio dello spiritual, forse delle work song dei lavoratori neri, forse della musica islamica africana, il blues deriva la sua denominazione dalla presenza - peraltro molto consistente - nella melodia delle blue note: tristi e malinconiche, proprio come la cultura bianca percepiva la civiltà e la condizione dei neri, come le suggestioni sprigionate dalle sue musiche, e anche come espresso dalla locuzione originaria, 'To have the blue devils'.
Un'atmosfera densa di mistero, probabilmente risalente alle magiche tradizioni afroamericane, caratterizza questo genere musicale: non a caso, infatti, la leggenda racconta che il suo primo esponente, Robert Johnson, avesse venduto l'anima al diavolo in cambio del successo poi - effettivamente... - ottenuto. In realtà, a fornire ragion d'essere a questo mito, oltre alla presenza, nei testi di Johnson, di immagini demoniache, la sua devozione per i riti voodoo, appartenenti al patrimonio culturale che gli schiavi africani portarono nel Nuovo Continente. Questi riti prevedevano anche la celebrazione delle divinità ostili presenti nel pantheon africano (Exùs e Oristas), ma all'unico scopo di strappare il loro consenso alla libertà di azione degli dei buoni, che, in questo modo, potevano concedere agli uomini favori e buona sorte.
I pezzi blues, strutturalmente molto semplici - di solito composti da domanda, risposta e chiusa - e fortemente emotivi, trovano la loro cifra identificativa nella deviazione rispetto alla scala diatonica internazionale, inizialmente percepita come una stonatura dall'orecchio occidentale. Nella loro diffusione proprio all'interno della comunità bianca Chicago gioca un ruolo fondamentale: grazie a questa città i brani composti dalle blue note raggiungono, fra gli anni Trenta e Quaranta, vette di splendore, per poi dare vita ad una serie di sottogeneri: il rock'roll, il boogie woogie e il rhytm and blues...
Dalla sensibilità creativa delle comunità afroamericane nasce anche un altro genere musicale, frutto della fusione di tratti europei ed africani, per il quale Chicago costituisce una delle patrie: il jazz. Da mix di pop music americana, ragtime e blues ad attuale bacino di confluenza per rock, samba e melodie caraibiche, questo genere possiede un codice genetico fatto di poliritmia, sincope, note swing e blue note e, soprattutto, espressività ed improvvisazione. Quest'ultima assume, nel free jazz, una posizione di tale predominanza rispetto al tema che si arriva a parlare di 'improvvisazione totale collettiva'.
Nel 1913 viene stampato per la prima volta sulle pagine di un quotidiano il termine 'jazz', genere appena nato a New Orleans e 'figlio' di Buddy Bolden; nel 1916, invece, e precisamente il 3 marzo, debutta in quel di Chicago la famosissima 'Original Dixieland Jass Band', esclusivamente composta da bianchi e diretta da un trombettista di origine italiana, Nick La Rocca. I componenti di questa formazione si esibiscono spesso per compensi ridottissimi, o magari anche solo per un drink.
Tutti i musicisti di New Orleans rimasti di colpo senza lavoro dopo la chiusura dello 'Storyville' - una disposizione delle autorità in seguito all'entrata in guerra, finalizzata ad evitare ogni tipo di distrazione per i militari di leva - confluiscono, alla fine del primo decennio del Novecento, nella metropoli sul lago Michigan, distribuendosi tra club e music hall.
In coincidenza dello scoccare degli anni Venti nella southside cittadina le sale da ballo e i locali del by night vengono invasi dai ritmi del jazz e il panorama musicale si popola di personaggi straordinari: da una parte, artisti come Johnny Dodds e Jelly Roll Morton, dall'altra, musicisti bianchi che danno vita ad un loro particolare stile; alla improvvisazione, ambito di eccellenza dei neri, si unisce la raffinatezza armonica tipicamente bianca e viene valorizzato, durante l'esecuzione, il ruolo del solista. Tra tutti, citiamo la leggenda Louis Armstrong, stella degli Hot Five e, in seconda battuta, degli Hot Seven. Originario di New Orleans, trascorre la propria infanzia in condizioni di degrado sociale, ma anche a stretto contatto con quella musica allora chiamata 'ragtime', che lo nutre e sviluppa il suo talento. Da piccolo, quello che diventerà uno straordinario trombettista e cantante, e senza dubbio il più geniale musicista jazz del XX secolo, che esporterà questo genere musicale in tutto il pianeta, impara a suonare la cornetta in un riformatorio per ragazzi, 'New Orleans Home for Colored Waifs'. Il suo maestro, Joe 'King' Oliver, lo invita a trasferirsi a Chicago. è nella città dell'Illinois che Armstrong inizia ad incidere dischi a proprio nome, suonando in una orchestra di cui fa parte anche la moglie, Lil Hardin; successivamente, e per il resto della sua vita, l'artista si divide tra la metropoli appena citata e New York.
Lo struggimento del blues, dunque, e la libera improvvisazione del jazz: Chicago, musicalmente parlando, ci regala tutto questo, ma non solo: questa città, infatti, è stata, in tempi molto più recenti, grembo materno per la house music, emblema sonoro della rivoluzione informatica. I pezzi house, frutto di campionamenti e remix successivi - per cui spesso risulta difficile individuarne la paternità - sono immancabilmente caratterizzati dallo 'scratch', prodotto dall'attrito della puntina sul disco di vinile, e trovano quindi nell'assembramento e nel mixaggio la loro anima.
Alla fine degli anni Settanta, nella storica discoteca 'Chicago Warehouse Spat' - da qui l'origine della denominazione per questo genere musicale il cui mercato viaggia a ritmi rapidissimi - prendono possesso della consolle due guru tra i dj del momento, freschi di esperienza newyorkese: Larry Levan e Frankie Knuckles, che diventerà resident. Dopo aver trasformato il 'Paradise Garage' della Big Apple in un locale cult, apportando innovazioni come l'uso della consolle con tre piatti e la riproduzione in contemporanea di due brani, Knuckles realizza i primi sperimentali assembramenti di brani di discomusic; su alcuni di questi il geniale Frankie appone la sua indelebile firma: il suono della locomotiva, un effetto davvero speciale... Procedendo su questo solco, i dj competono escogitando soluzioni di mixaggio sempre più particolari per arricchire la struttura base dei pezzi, composta da un intro di batteria, poi da una pausa costituita da suoni armonici e dal tema - questi due, eventualmente, reiterati in alternanza - ed, infine, da una coda di batteria funzionale all'inserimento sequenziale di un altro brano.
Le case discografiche di Chicago iniziano a commercializzare dischi di house music, capitanate dalla 'Imports Etc', che fa da apripista nel 1983, e si diffondono show radiofonici house: questo contribuisce a rendere popolare il nuovo genere musicale, dilagante nei locali e, successivamente, declinato in diversi sottofiloni: l'acid house, che fa la sua apparizione ufficiale nel 1986 con 'Acid Tracks', confezionato dai 'Phuture', o la deep house, dal ritmo ipnotico e venata di sonorità jazz, lanciata dalla hit 'Can i feel it'.
Su questi ritmi il popolo di Chicago inizia ad esprimersi tramite il 'jacking', l'inconfondibile modo di ballare scevro da ogni schema, che sublima la autoespressione tipica della musica disco e la estremizza tramite movimenti ripetuti, inneggianti alla libertà mentale.
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